Tag

, , , , , , , , , , , , , , , ,

E’ un periodo, questo, in cui scrivo con una certa costanza, almeno un paio d’ore al giorno. Ma non posto quasi nulla.
Butto giù pagine su pagine di cui non riesco a ritenermi soddisfatto, rifinisco, aggiungo una parola, ne tolgo tre, ne cambio qualche altra. E quando credo infine di essere pronto, sento che manca ancora qualcosa; un’ultima rilettura, un dettaglio che potrei aver dimenticato, l’incerta scorrevolezza di una frase.

Potrebbe sembrare una tendenza al perfezionismo maniacale, ma credo sia solo una questione di stanchezza. E’ l’età, direbbe forse qualcuno. Non sono gli anni, sono i chilometri, risponderebbe un Indiana Jones prima maniera.
Di chilometri, sia mentali che materiali, ne ho percorsi parecchi da un po’ di tempo in qua. E il tempo attuale attraversa proprio quella fase dell’anno in cui più mi capita di avere pochi slanci, e poche risorse interiori per sostenerli. Mantenere uno sguardo limpido mi costa una certa fatica. Sono consapevole di dover dosare le energie. In attesa di recuperarne un po’, e con esse le parole giuste che al momento in parte mi sfuggono, lascio parlare la musica, che sa esprimersi assai meglio di me.

La scorsa settimana, mentre scrivevo e rifinivo un post sui miei trascorsi organistici, ascoltavo in cuffia, alternandoli, due diversi cd: una raccolta di sonate per organo di Bach, tanto per restare in tema, e Absolution dei Muse. Un accostamento che potrebbe sembrare stravagante. Ma non al mio orecchio.
Cosa possono mai avere in comune, un compositore barocco del Settecento e un gruppo alternative rock britannico contemporaneo?
E chi lo sa. Prima di tutto, bisognerebbe provare ad ascoltarli.

Cominciamo con l’illustre Johann Sebastian. Se volessi vincere facile, metterei qui di seguito la celeberrima Toccata e Fuga in re minore, di cui chiunque, ma proprio chiunque, che ne sia consapevole o no, conosce l’attacco (e per non lasciarvi con la curiosità, nel caso il titolo dell’opera non vi dica nulla, la trovate qui).
Invece, scelgo il Concerto in la minore da Vivaldi BWV 593. Composto da tre movimenti, un allegro iniziale (non dichiarato), un adagio, più meditativo, e un secondo allegro finale. Buon ascolto.

 

Piaciuto? Spero di sì 🙂

E veniamo ai Muse, di cui dall’album sopracitato vi propongo Hysteria:

 

Trovate qualche similitudine? Sì? No? Forse?
Ok, vi dico cosa “sento” io. Non voglio certo proporre un confronto tecnico o stilistico fra due mondi, due epoche musicali, così diversi. Anche se volessi (ed è senz’altro un esercizio che si potrebbe fare, con le giuste competenze), non saprei nemmeno da che parte iniziare.
Ma l’energia, la forza che pervade le sonorità di entrambe le opere, trovo sia la stessa. Primordiale. Trascinante. Giocosa. Provate a immaginare il piacere di suonarle, oltre che di ascoltarle. Il tessuto di note che si snodano e si rincorrono, che giocano fra di loro, ora di contrappunto ora fondendosi in un tutto armonico, da una parte nella classicità stilistica della composizione barocca, dall’altra nel gran lavoro di basso e nelle melodie elettroniche arricchite dalla voce umana. Sentite quante note, il ritmo a cui si susseguono, la sensazione di forza variegata e multiforme, incessante, ora disciplinata ora lasciata libera di sgorgare con pienezza di suoni.

Mi torna in mente una cosa che ho appena letto, a proposito di Bach:

“[gli piaceva] correre lungo la tastiera e saltare da un capo all’altro di essa, premere con le dieci dita quante più note possibile, e proseguire in questo modo selvaggio fino a che per caso le mani non avessero trovato un punto di riposo”.

Un ventenne tastierista selvaggio del 1700, molto più simile a un rocker di quanto la sua immagine imparruccata possa farci supporre.
Il testo prosegue affermando che, col tempo, il giovane Johann Sebastian si fece più disciplinato, più ordinato. Ma la disciplina e l’ordine non dovettero spegnere il suo sacro furore, a giudicare dal brano di cui sopra, trascritto per organo dall’estro armonico di Antonio Vivaldi.

Insomma, il comune spirito che avverto, nel vivere l’ascolto di due espressioni musicali (che si sarebbe portati a immaginare) così lontane fra loro, riguarda la sfera delle passioni, la cifra emotiva. Il respiro di un medesimo cielo stellato.
Naturalmente, queste sono le mie note soggettive, opinabili finché si vuole.
Ma spero di aver reso l’idea di ciò che intendevo dire 🙂